Quando nel 1985 uscì nelle sale cinematografico il primo episodio della trilogia Ritorno al Futuro, la DeLorean DMC-12, utilizzata come base per costruire la celebre macchina del tempo, diventò una sorta di mito su ruote per tutti i giovani di quella generazione e di quelle successive. Del resto, al di là del design futuristico di quest’auto, alle spalle del suo fascino c’era uno studio dello stile affidato a chi, di design, se ne intendeva: l’italiano Giorgetto Giugiaro. Questi, tuttavia, per l’automobile statunitense non aveva realizzato un design innovativo: quello della DMC-12, infatti, era una reinterpretazione di quanto già fatto nel 1970, quando per la Porsche aveva disegnato una concept car: la Porsche Tapiro. Così, oggi, andremo a scoprire la storia di quest’automobile, che ha ispirato la DMC-12 e senza cui anche la trilogia di Ritorno al Futuro sarebbe stata molto diversa.
Contenuti
Un’automobile che avrebbe fatto scuola: la Porsche Tapiro
Del resto, la DMC-12 non fu l’unica automobile ispirata alla Porsche Tapiro. Anche la Maserati Boomerang e la Lotus Esprit, non a caso anch’esse progettate da Giugiaro, riprendevano le linee che, forse per la prima volta, l’italiano aveva realizzato proprio con la Tapiro. Per questo, possiamo dire che la concept car di Stoccarda, presentata per la prima volta al Salone dell’Auto di Torino del 1970, ha influenzato in maniera decisiva il design automobilistico almeno per il decennio successivo. E, per quanto essa resti sconosciuta ai più, per l’importante impatto che ha avuto sulla storia dell’automobilismo, merita di essere riportata all’attenzione di tutti gli amanti del marchio Porsche e non soltanto.
Il design della Tapiro Porsche: un cuneo che fende l’aria
Il periodo è quello che si colloca alla fine degli anni Sessanta, quando da Stoccarda giunse una richiesta alla Italdesign, che Giorgetto Giugiaro e Aldo Mantovani, con il nome di Società Italiana Realizzazione Prototipi, avevano aperto solamente due anni prima, il 13 febbraio 1968. La richiesta era quella di realizzare, partendo dal telaio e dalla meccanica Porsche 914, il prototipo di una vettura dotata di quattro portiere. Il tutto, ovviamente, rispettando i canoni della casa costruttrice: motore centrale-posteriore in configurazione boxer e, naturalmente, trazione posteriore.
Il dato di partenza era quello della Porsche 914, come detto, ma dell’automobile di partenza restò veramente poco. Anzi, l’ispirazione principale del nuovo design giunse da un’altra automobile, che era stata presentata solamente l’anno precedente. Si trattava della De Tomaso Mangusta, che, proprio come la Tapiro, abbandonava le classiche linee sinuose per fare spazio agli andamenti più spigolosi del periodo seguente. La Mangusta, tuttavia, era solo una suggestione, che con la Tapiro divenne realtà. E, proprio nella cultura di questa realtà, nacque la caratteristica forma a cuneo che avrebbe successivamente caratterizzato altre automobili, come la Boomerang e la Esprit.
Il telaio dell’automobile, come detto, era quello della 914. A differenza di questa, pur mantenendo il medesimo passo, la Tapiro era più lunga di otto centimetri che portavano la lunghezza complessiva a 4,06 metri e più larga di dieci centimetri, per una carreggiata totale di 1,76 metri. La caratteristica forma a cuneo, sottolineata dal cofano con fari a scomparsa con palpebra quadrata, ne riduceva anche l’ingombro verticale di dieci centimetri rispetto alla 914, con un’altezza che si fermava ad appena 1,11 metri da terra. Al netto delle quote, due erano le caratteristiche che conferivano personalità a questa automobile. La prima riguardava indubbiamente le quattro portiere di cui era dotata: due per consentire l’accesso all’abitacolo da parte degli occupanti e altre due per accedere al bagagliaio posteriore. Ciò che distingueva questa Porsche da altre automobili era l’utilizzo di portiere con apertura ad ala di gabbiano. Per consentire l’adozione di questa caratteristica tecnica, fu necessario progettare una struttura centrale in acciaio che consentiva di incernierare longitudinalmente all’automobile le portiere anteriori e posteriori, mentre trasversalmente aveva la funzione di roll-bar. La seconda caratteristica, collegata alla prima, è l’utilizzo del vetro: ciò risulta evidente soprattutto osservando l’automobile dall’alto, dove è possibile notare come il plexiglas caratterizzasse anche la parte superiore delle portiere e persino quelle posteriori.
Il motore della Porsche Tapiro
La Tapiro non abbandonò la concezione motoristica della casa di Stoccarda. A differenza della Porsche 914, che era dotata di un motore da 1,7 litri e 110 CV di potenza massima, il propulsore della Porsche Tapiro, pur essendo un classico motore boxer montato centralmente e posteriormente come da tradizione Porsche, era un sei cilindri, con cilindra di 2,4 litri. Il risultato fu una potenza massima di 220 CV a 7.800 giri/min per un peso sconosciuto, ma comunque contenuto a sufficienza per consentire all’automobile di raggiungere una velocità massima di 245 km/h. In accoppiata a questo propulsore, poi, l’automobile offriva un cambio manuale a cinque rapporti. Ovviamente, poco più si conosce del motore di questa automobile, che restò solamente un prototipo e, come vedremo, ebbe anche una sorte poco fortunata. Nonostante ciò, a differenza di altri prototipi, l’automobile di Giugiaro era perfettaemnte funzionante.
La triste fine della Porsche Tapiro
Come detto, la Porsche Tapiro fece il suo debutto a Torino. Dopo questa esposizione, quindi, la vettura fu spedita negli Stati Uniti d’America dove su presentata, nel 1971, al 5th Annual Los Angeles Imported Automobile and Sports Car Show. Nel 1972, infine, l’unico esemplare di Tapiro mai creato fu acquistato da un industriale spagnolo, che, secondo le fonti, l’avrebbe utilizzata come sua automobile personale. Almeno fino a quando questa, pochi mesi dopo l’acquisto, non fu venduta al compositore argentino Waldo de los Rios. Proprio come le Porsche 914, che spesso ebbero problemi di incendi causati dai carburatori, la Tapiro prese fuoco proprio mentre il proprietario attraversava Madrid. La moglie di questi, che seguiva da vicino l’automobile mentre era alla guida di un’altra vettura, potè vedere l’incendio divampare. Di fatto l’automobile fu praticamente distrutta nella parte posteriore, mentre restò quasi intatta anteriormente. Dopo il suicidio del compositore, nel 1977, la vedova destinò la vettura in un capanno dove restò per quasi un ventennio prima di essere scoperta da un collezionista. La storia romantica del concept car perduta e poi ritrovata fece nascere anche una serie di leggende metropolitane, come quella di un presunto attentato dinamitardo dell’ETA. Della scoperta, comunque, ne fu messa a conoscenza la stessa Italdesign, che decise di tornarne in possesso per esporla al museo di Moncalieri. Pare fu valutato anche un progetto di recupero, ma alla fine lo stesso Giugiaro decise di esporla nelle condizioni in cui l’incendio l’aveva lasciata. Ciò che resta, invece, è il coraggio di una sperimentazione che avrebbe ulteriormente allargato gli orizzonti del design automobilistico.