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Ferdinand Piech, la dinastia Porsche che fece grande le auto

Se ci fosse un proverbio a rappresentare la vita di ogni individuo, quello dedicato a Ferdinand Piëch, nipote di Ferdinand Porsche, sarebbe, senza ombra di dubbio, «Donne e motori, guai e dolori». Perché la vita di Piëch, in effetti, è stata caratterizzata dalla passione per le une, come dimostrano i suoi dodici figli (o tredici, come vedremo), e per i motori, su cui non è necessario dare ulteriori spiegazioni. La vita di Ferdinand Piech, tuttavia, è stato molto più di questo e, pertanto, non può essere racchiusa in una banale espressione idiomatica. Acclamato per la sua genialità, criticato per i suoi metodi al limite, ha chiuso la sua vita tra i misteri del Dieselgate. Questo, tuttavia, non ha appannato il suo mito, che in questo articolo andremo a riscoprire.

Dagli albori al successo: la vita di Ferdinand Piëch

Quando sei il nipote di un personaggio celebre come Ferdinand Porsche, proveniente da una delle famiglie più celebri di Germania, è facile che le malelingue ti appioppino definizioni sgradevoli. Il predestinato, il raccomandato, il figlio di famiglia. La storia di Ferdinand Piëch fu capace di andare oltre tutto ciò, dimostrando che non esistono definizioni che tengano. Del resto, nei suoi primi anni di vita, Piëch non ebbe una vita semplice, ma ebbe la fortuna di una guida illuminata, come quella della madre Louise Porsche. È da lei che occorre partire, se si vuole raccontare la vita di Piech.

Una guida illuminata: Louise Porsche

Quando nacque Ferdinand Piech, a Vienna il 17 aprile 1937, l’Europa era già preda dei nazionalismi di Benito Mussolini in Italia, di Adolf Hitler in Germania e di Francisco Franco in Spagna. In questo clima, anche la famiglia Porsche-Piëch finì per restare invischiata nelle vicende torbide che segnarono quegli anni. D’altra parte, anche dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, la vita di Ferdinand non fu semplice: il 29 agosto 1952, Anton Piëch, padre di Ferdinand che all’epoca aveva appena quindici anni, morì improvvisamente di infarto. Fu da questo momento che Louise Porsche, madre di Ferdinand, iniziò a esercitare la sua influenza, fin troppo sottovalutata.

Louise, figlia di Ferdinand Porsche e sorella di Ferry Porsche, era in realtà molto dotata. Già prima della dipartita del marito, infatti, aveva mostrato le proprie doti: a quattordici anni, per esempio, aveva già conseguito la patente e nel 1926 partecipò alla sua prima competizione motoristica. Quando è costretta a prendere la guida dell’azienda di famiglia, la Porsche Konstruktionen GmbH, riesce a garantire da sola, in appena due anni, il 25% del mercato di Volkswagen. Fu anche grazie agli insegnamenti di questa donna, che Ferdinand iniziò a muovere i primi passi nell’automobilismo.

Intanto, la vita di Ferdinand Piëch proseguiva come quella di qualsiasi suo coetaneo. Dapprima studiò presso il Lyceum Alpinum Zuoz, scuola tra le più prestigiose della Svizzera, situata nei pressi del villaggio di St. Moritz. Successivamente, si trasferì presso l’Eidgenössische Technische Hochschule di Zurigo, l’università tecnica svizzera, che annovera tra i suoi studenti ben ventidue premi nobel tra cui Albert Einstein. Prima di terminare gli studi, Piëch scrisse una tesi sullo sviluppo dei motori di Formula 1, dimostrando la sua grande passione verso il motorsport.

L’ingresso in Porsche e i successi sportivi

Conclusi gli studi, nel 1963 ad appena 26 anni, Piëch entrò in Porsche. Presso la casa di Stoccarda, il nipote di Ferdinand Porsche fu assegnato a due progetti importanti: la Porsche 906 e la Porsche 917. Nel primo progetto, a capo del quale fu messo in qualità di Responsabile del reparto corse, Piëch si dedicò soprattutto all’alleggerimento dell’automobile. Non a caso, alla presentazione nel 1966, la 906 pesava appena 580 kg, quasi 115 kg in meno rispetto all’antenata 904. Il resto è storia: con la Porsche 906, la casa di Stoccarda nel 1966 vinse nella propria categoria alla 24 Ore di Daytona, alla 12 Ore di Sebring, alla 1000 km di Monza, a Spa e al Nürburgring. Quell’anno, Zuffenhausen si assicurò anche la vittoria alla prestigiosa Targa Florio, coronando un anno positivo.

Il secondo progetto, quello della Porsche 917, Piëch lo affrontò quindi da capo indiscusso del settore corse. Forte dell’esperienza accumulata con la 904, la casa di Stoccarda realizzò un’automobile ancora più estrema. Il risultato fu quello di un’automobile in grado di trionfare, per la prima volta nella storia di Porsche, alla 24 Ore di Le Mans del 1970. Il successo fu ripetuto anche l’anno seguente, quando Porsche, tra le altre cose, trionfò anche nel World Sportscar Championship.

L’esperienza di Piëch presso Stoccarda, tuttavia, era destinata a terminare. Nel 1972, infatti, lo zio Ferry e la madre Louise assunsero una decisione destinata a condizionare significativamente la vita di Ferdinand. Da quell’anno, infatti, i membri delle famiglie Piëch-Porsche non avrebbero dovuto più ricoprire cariche dirigenziali all’interno della casa di Stoccarda. Una scelta sofferta per Ferdinand che, ad appena 35 anni, avrebbe avuto ancora tanto da dare al settore. Per questo, Piëch decise di seguire le orme del nonno e di aprire il proprio studio di progettazione. L’esperienza durò pochissimo, però: in quello stesso anno, infatti, arriva l’offerta da parte di Audi, che cambierà la vita di Piëch.

Piëch e la trasformazione di Audi in auto di successo

All’alba del 1972, Ferdinand Piëch ricevette una chiamata. Era quella dell’Audi, anch’essa controllata dal gruppo Volkswagen, che lo nominò Direttore tecnico. Se l’idea della famiglia era di riportarlo all’interno dei ranghi, l’idea di Piëch era tutt’altra. Egli, infatti, capì prima di altri che il marchio a quattro anelli poteva essere trasformato in qualcosa di ambito, di prestigioso. A Ingolstadt si mise a lavoro su diversi progetti destinati a rivoluzionare tanto la casa automobilistica quanto il settore. Fu il caso dell’Audi 80, dell’Audi 100 e dell’Audi V8.

Il colpo di genio del nipote di Ferdinand Porsche, però, fu quello di investire seriamente sulla trazione integrale. Sotto la sua guida, infatti, nacque il celebre sistema di trazione quattro di Audi. Per dimostrare le capacità di questo sistema, nel 1977, Audi iniziò lo sviluppo di un’automobile destinata a trionfare nel World Rally Championship. Nel 1982, infatti, l’Audi Quattro vinse il campionato costruttori. L’anno seguente, il 1983, Hannu Mikkola, sempre alla guida dell’Audi Quattro, vinse il campionato piloti. L’anno seguente, ancora con l’Audi Quattro guidata da Stig Blomqvist, la casa fece en plein vincendo campionato piloti e campionato costruttori.

Fu la prova lampante della genuinità del lavoro di Piëch che, non a caso, nel 1988 divenne amministratore delegato. Fino al 1993, anno in cui si aprirà un nuovo capitolo della storia di Piëch, la casa continuò il suo lavoro di rafforzamento sul mercato. Ancora una volta, fu scelto il settore corse, in particolare con il Deutsche Tourenwagen Masters (DTM), dove nei successivi anni Novanta Audi raccolse nuovi successi. Tra il 1990 e il 1991, con l’Audi V8 quattro, la casa riuscì a piazzare Hans-Joachim Stuck e Frank Biella sul gradino più alto del podio, dimostrando ancora una volta il buon lavoro svolto sino ad allora. Ormai, Piëch aveva dimostrato abbastanza ed era pronto al passaggio successivo, alla guida di Volkswagen.

Il passaggio in Volkswagen, la consacrazione definitiva

Nel 1993, infine, arrivò la chiamata più attesa di tutte: quella di Volkswagen. La situazione finanziaria della casa di Wolfsburg, infatti, era preoccupante: sebbene il fatturato fosse raddoppiato sotto la guida di Carl Hahn, i risultati erano ritenuti insoddisfacenti. Per questo, Hahn fu nominato Presidente del Consiglio di Sorveglianza, mentre Piech fu nominato Amministratore delegato della casa.

Per assolvere al suo compito di risanamento dell’azienda, Piëch chiamò a sé José Ignacio López de Arriortua che, all’epoca, lavorava per la General Motors. Questi riuscì a ridurre i costi dei fornitori, talvolta anche al costo di una qualità inferiore rispetto a quella precedente. Tuttavia, come già era avvenuto per Audi, sotto la guida di Piëch, Volkswagen puntò verso il lusso: nel 1998, per esempio, la casa di Wolfsburg rifondò lo storico marchio Bugatti. Quello stesso anno, la casa acquistò altri due prestigiosi marchi, quello della Rolls Royce e quello della Bentley.

Sotto la guida di Piëch, comunque, fu tutta la Volkswagen a beneficiare del suo genio. L’intera gamma fu rivista, ma il vero capolavoro è rappresentato dalla quarta serie della Volkswagen Golf. Per essa, i progettisti si impegnarono a costruire un’automobile che rappresentava il meglio del segmento. La commercializzazione iniziò nel 1997 e fu un grande successo per la Volkswagen che, sulla base della stessa vettura, portò sul mercato anche la New Beetle, una riedizione del Maggiolino. Grazie a queste e altre geniali intuizioni, Piech riuscì a rivitalizzare la Volkswagen. Tanto che, nel 2005, la Volkswagen acquisì il 21% di Porsche e, due anni più tardi, si assicurò un altro 31% della casa di Stoccarda. Infine, nel 2008, acquisì il restante 20%, assicurandosi così la maggioranza dei voti nel Consiglio di amministrazione.

Al contempo, però, la sua spietata conduzione della casa la portò a incontrare anche diversi oppositori. Il più importante, se non altro perché riuscì a scalzarlo, fu Martin Winterkorn. La dipartita professionale di Piech, tuttavia, non fu indolore per Volkswagen. All’indomani dell’addio di questi, infatti, scoppiò il caso Dieselgate, uno scandalo sulle emissioni dei propri modelli, dichiarate dalla stessa casa automobilistica. Qualcuno sospettò che dietro l’esplosione del caso vi fosse proprio Piech, che di sicuro silurò Winterkorn accusandolo di sapere tutto.

Donne e motori, guai e dolori

La passione di Piech per le automobili, dopo tutto questo, è ormai evidente. Ma le donne? Ferdinand Piech ebbe due matrimoni. Il primo, nel 1959, fu quello con Corinna von Planta, dalla quale ebbe cinque figli: Arianne (1959), Corinna (1960), Desiree (1962), Ferdinand “Nando” (1967), e Jasmin (1969). Nel 1972, però, l’attenzione di Ferdinand fu attratta da un’altra donna: Marlene Maurer, già moglie del cugino, Gerhard Porsche. Da lei, pur senza mai contrarre matrimonio, Piëch ebbe tre figli: Hans (1973) e Valentin (1975) e Anton “Toni” (1978). Il primo bambino di questa relazione, in realtà, non seppe mai che Piëch era il padre e continuò a chiamarlo semplicemente “zio”. Solo dopo la morte di quest’ultimo, la notizia gli fu rivelata. Intanto, ebbe un’altra relazione extra-coniugale, con Herma Hutter. Anche da lei arrivò un figlio: Ferdinand (1979).

Nel 1982, mentre Piech probabilmente aveva un’altra figlia, Caroline, in virtù della numerosa prole, Marlene scrisse un annuncio di lavoro per trovare una bambinaia. A rispondere a quell’annuncio fu l’allora 25enne, Ursula Plasser. Con lei convolò a nozze di lì a poco, nel 1984, e l’anno successivo giunse il primo figlio, Markus (1985). Poi fu la volta di Florina Louise (1987) e, infine, Gregor Anton (1994).

Dopo aver avuto complessivamente dodici (o tredici) figli, almeno quattro relazioni con donne diverse, Piech sembrò finalmente trovare pace. Al punto che si ritirò con lei a Salisburgo, in Austria. Fu a Rosenheim, tuttavia, che il 25 agosto 2019, crollò di fronte alla moglie, mentre erano a cena. Trasportato d’urgenza all’ospedale, i medici non poterono che constatare a sua morte. Le ragioni di questa, tuttavia, non furono mai ufficializzate. All’indomani della sua dipartita, anche in virtù della sua numerosa e variegata discendenza, nacquero non poche dispute sull’eredità. Ma questa è un’altra storia.

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